
Il quinto numero della Rivista si richiama esplicitamente sia alla peculiare esperienza intellettuale e professionale di Karl Jaspers – psichiatra e filosofo dell’esistenza – che alla sua celebre riflessione sulla necessità di recuperare la figura, di ippocratica memoria, del medico-filosofo. A essa Jaspers fa appello per contrastare quelli che considera gli aspetti regressivi di una medicina totalmente inserita nell’alveo delle scienze naturali e sempre più “tecnicizzata”; una medicina che riduce il malato ad “oggetto”, privandolo di individualità specifica, e che vede l’identità del medico, paradossalmente, anch’essa depotenziata dall’uso crescente delle strumentazioni tecnico-diagnostiche, per cui la stessa fondamentale relazione tra medico e malato viene progressivamente svuotata del suo significato etico di relazione di incontro, ascolto e cura tra soggetti. I processi che Jaspers lucidamente coglieva all’inizio degli anni Cinquanta si dispiegano oggi con sempre maggiore potenza grazie alla crescente biomedicalizzazione e digitalizzazione dell’assistenza medico-sanitaria, delineando uno scenario in cui i paradigmi riduzionisti dominano ormai incontrastati anche nella diagnosi e cura della malattia mentale. Alla luce dell’evidente attualità dei problemi posti da Jaspers, il volume prova a riaprire una riflessione sulla medicina come scienza, come pratica e come sapere che riconosca fino in fondo al malato lo statuto di una soggettività aperta a un’effettiva relazione col medico e con l’apparato sanitario; riflessione che, però, ha voluto anche rileggere criticamente le soluzioni proposte dal medico e filosofo di Oldenburg, individuandone gli aspetti più legati alle vicende storiche della medicina tedesca del suo tempo e quelli che, ancora oggi, rappresentano una vivente e vivace eredità. Sullo sfondo di un costante dialogo tra saperi, i contributi presenti nel volume seguono tre linee di sviluppo principali. La prima ha inteso approfondire, sotto diverse e originali angolazioni, l’utilizzo jaspersiano della fenomenologia nell’indagine e nella descrizione del vissuto psichico dei pazienti. La seconda ha indagato, invece, il rapporto tra Jaspers e alcuni saperi emergenti del suo tempo, come l’antropologia medica di Viktor von Weizsäcker, la psicoanalisi di Freud e la sociologia medica di Talcott Parsons. La terza e ultima linea, infine, ha messo al centro alcuni grandi temi della riflessione filosofica e scientifica jaspersiana (la comunicazione, la relazione medico-paziente, la salute) provando a scandagliarne la portata e le potenzialità in un’ottica interdisciplinare. Ad arricchire il quinto numero della Rivista, offrendo un’ulteriore spaccato sulle plurali declinazioni che il rapporto tra medicina, scienza e filosofia ha avuto nell’opera di Jaspers, c’è, in Appendice, la prima traduzione italiana del breve ma significativo carteggio tra Jaspers e lo psichiatra viennese Viktor Frankl.
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Al centro di questo saggio c’è l’analisi dei concetti, tra loro connessi, di “visione del mondo” e “situazione-limite”, che Jaspers elabora nel passaggio dalla psicopatologia alla filosofia ed espone nella Psicologia delle visioni del mondo (1919) e in Filosofia (1932). Se il concetto di visione del mondo, basato sulla concezione della vita psichica sviluppata da Jaspers durante i suoi studi psicopatologici, esprimendo la vita spirituale del soggetto, implica una valutazione e una scelta, le situazioni-limite si presentano innanzitutto come quei momenti decisivi in cui l’individuo sperimenta la difficoltà della scelta e avverte la radicale antinomicità dell’esistenza. Nella vera e propria fenomenologia delle situazionilimite (la morte, il soffrire, la lotta, il caso, la colpa) proposta da Jaspers emerge l’idea che le situazioni-limite siano i modi di essere, le strutture trascendentali dell’esistenza umana, che ne mettono in rilievo l’essenziale problematicità e storicità.
Scheler, come Jaspers, attribuisce un’importanza centrale alle relazioni con l’alterità e fonda sulle pratiche di sharing emotions sia la formazione dell’individuo sia l’ontologia sociale. Il tentativo di questo lavoro è quello d’interpretare i disturbi relativi alla capacità di comunicare – che Jaspers pone alla base della psicopatologia e che più recentemente lo psichiatra giapponese Bin Kimura ha proposto di considerare all’origine della schizofrenia – come disturbi di ciò che Scheler chiama ordo amoris, inteso come ordine del sentire della persona.
Che cosa significa per noi esperire la nostra vita, la nostra esistenza radicata nel tempo? La psicopatologia di orientamento fenomenologico si è particolarmente dedicata alla comprensione delle strutture genetiche e costitutive dell’esperienza del tempo. Karl Jaspers ha formulato delle obiezioni critiche contro la trasposizione di concezioni filosofico-speculative nel contesto delle scienze empiriche e contro la mescolanza dell’esperienza vissuta soggettiva e di un’esperienza identificabile. Questo saggio esamina il modello strutturale della nostra esperienza temporale della realtà proposto da Erwin Straus: dall’esperienza patica pre-intenzionale alla costituzione linguistico-simbolica di un ordine storico dell’esperienza. Di qui scaturisce la questione se, a partire da questa struttura, si possa o meno ottenere una «norma individuale del divenire» (H. Muller Suur) che, in termini jaspersiani, potrebbe servire da fondamento per la chiarificazione dell’esistenza nella diagnosi medica e soprattutto nella terapia.
Negli ultimi decenni il discorso psicopatologico clinico, soprattutto nella sua cifra fenomenologica, si è impoverito drammaticamente. La sostanziale identificazione del “caso” clinico con il quadro sintomatologico ha svuotato di senso il lavoro di approfondimento psicopatologico, che è poi la ricerca del senso e del significato inerenti al sintomo, compito peraltro affatto facile. È invece, sempre più necessario ripensare e ridiscutere la psicopatologia clinica alla luce della fenomenologia. Re-istituendo, così, come oggetto della psichiatria la vita interiore (la soggettività) dei pazienti. Nessuno, nemmeno lo psichiatra, può afferrare concettualmente la totalità di un uomo: possiamo solo tratteggiare (sempre e soltanto nella relazione con il paziente) una più o meno grande quantità di particolari. Certo, potremo anche immedesimarci − e dunque derivare un complesso di significati − ma non saremo mai in grado di afferrarli concettualmente nella loro pienezza. Ripensare una fenomenologia della soggettività vuol dire confrontarsi con le esperienze (normali o patologiche) di una persona, nella consapevolezza drammatica che nessuno potrà conferire significati a un’esperienza psicotica che “allontana”, sovente in modo irrimediabile, il mondo del paziente da quello dello psichiatra (sano).
Al centro di questo saggio c’è il confronto tra due medici e pensatori: Karl Jaspers e Viktor von Weizsäcker. I loro rapporti, a lungo caratterizzati da stima e reciproco rispetto, si interrompono negli anni Cinquanta in seguito alla durissima polemica intrapresa da Jaspers negli scritti Zur Kritik der Psychoanalyse (1950), Die Idee des Arztes (1953), Arzt und Patient (1953). Weizsäcker viene accusato di aspirare ad una «rivoluzione totale della medicina», nefasta per la scienza e pericolosa per i malati, che Jaspers intende contrastare pubblicamente. Nel saggio, prendendo le mosse da quanto Jaspers scrive sulle ricerche di Weizsäcker nella quarta edizione della Psicopatologia generale, proverò a ricostruire le ragioni di questa controversia in cui viene in primo piano l’interrogazione, sempre attuale, sull’incerto statuto epistemologico della medicina.
Il saggio ricostruisce quattro fasi diverse del rapporto tra Jaspers e la psicoanalisi freudiana. Nella prima fase Freud è per Jaspers un interlocutore scientifico: le critiche jaspersiane sono un confronto produttivo sul metodo con cui affrontare la patologia psichica. Già nella seconda fase, con l’edizione della Psicopatologia generale del 1920, l’immagine di Freud è mutata, Jaspers approfondisce le critiche teoriche: l’intera psicoanalisi somiglia più a una narrazione sulla psiche che non a una metodologia scientifica. Negli anni ’40, l’immagine di Freud – morto da qualche anno – è trasformata in quella di un profeta: la psicoanalisi è diventata un movimento di fede nascosto da pretese scientifiche. Ancora più radicale è la critica negli scritti jaspersiani degli anni ’50: Freud – ma la critica è rivolta ancor di più alla scuola psicoanalitica tedesca del secondo dopoguerra – è ormai uno stregone. La ricerca di un “sapere totale” va molto al di là della pratica medica e trasforma la psicoanalisi in una fede dogmatica e ammaliatrice, con evidenti ricadute politiche.
Talcott Parsons ha impostato il programma della sociologia occidentale a partire dai tardi anni Quaranta fino ai primissimi anni Settanta. Fra i suoi ultimi contributi, nonostante decenni di totale rifiuto della sua teoria sociologica generale, c’è l’introduzione della sociologia medica attraverso la concettualizzazione del “ruolo del malato”. La “storia dell’origine” del modello di “sistema” di Parsons è complessa. Molte delle sue idee sulla sociologia medica sono in linea con il lavoro di Jaspers sul rapporto medico-paziente. Il mistero si risolve quando si comprende che Parsons, alla metà degli anni Venti, era uno studente ospite a Heidelberg ed è stato allievo diretto di Jaspers, che lo ha influenzato in modo duraturo. Questo saggio sottolinea la connessione genealogico-concettuale fra la filosofia della medicina di Karl Jaspers e la sociologia medica di Talcott Parsons e alla fine mostra perché il profondo confronto con entrambi gli approcci può servire come correttivo rispetto agli sviluppi negativi nell’attuale bio-medicalizzazione e digitalizzazione della sanità.
Il contributo svolge un ragionamento sull’architettura. L’architettura come fenomeno sintetico che ha come scopo l’organizzazione dello spazio in cui vive l’essere umano, rapporto tra la forma dell’architettura e le intrinseche ragioni etiche. La città di Matera, patrimonio dell’umanità e laboratorio permanente di conoscenza, consente di esprimere questa qualità. Vengono delineati percorsi metodologici in grado di affrontare temi generali di architettura attraverso l’analisi urbana come supporto conoscitivo necessario sul quale fondare una lettura critica della storia urbana, delle emergenze architettoniche, dello studio dei tipi edilizi e delle forme costruttive. La città scavata di Matera è interpretata come “grande manufatto” nel Mediterraneo, quasi un “grande ed unico utensile”, costruito dagli uomini per proteggere e resistere nel tempo ai grandi eventi naturali, dove resta evidente la capacità necessaria di radicamento ai suoi luoghi, ad un’etica del costruire ed abitare. Una buona architettura possiede una forma intrinseca di etica e ha la capacità di rendere la nostra vita un’opera meravigliosa. L’architettura è la risposta etica ed estetica ai bisogni e al benessere dell’uomo.
La comunicazione non è solo un concetto centrale nella filosofia, ma anche nella psicopatologia di Karl Jaspers in cui ha un ruolo decisivo per il rapporto tra psichiatra e malato mentale. A tale proposito, è di particolare importanza la dicotomia tra lo “spiegare” delle scienze naturali e il “comprendere” delle scienze dello spirito, soprattutto con la differenziazione del comprendere in fenomenologico, statico, genetico, razionale, empatico, spirituale, esistenziale e metafisico. A queste tipologie del comprendere va dedicata particolare attenzione in tutte le discipline mediche ed esse comportano sfide particolari nella formazione medica, nella prassi terapeutica e nella ricerca medica.
Scopo del mio saggio è analizzare alcuni modi in cui la comunicazione in medicina è affrontata da Jaspers, e vedere come la sua riflessione possa essere utile oggi per affrontare problemi analoghi. Lo Jaspers che terrò presente sarà inizialmente quello degli scritti da lui elaborati fino alla Psychologie der Weltanschauungen. Cercherò poi di collegare la sua riflessione con la teoria della comunicazione che egli sviluppa nel libro secondo della Philosophie. Per quanto riguarda infine il possibile utilizzo di Jaspers nel dibattito contemporaneo su tematiche biomediche, farò riferimento allo specifico tema della comunicazione medico-paziente.
La vita, e il vitale, come “fondo oscuro” che emerge come patica relazionalità e ne costituisce modo e forme. La vita, nel suo essere fondamento oscuro, è antilogica nel suo originariamente darsi come affettivo (il patico) e si oppone all’ontico come pretesa di logica spiegazione dei nessi causali, propria delle scienze positive, nel campo del vivente. Il vitale è “sperimentatività relazionale”: irriducibile improvvisazione nella e della relazione vivente. La malattia, dunque, non può essere mai “ridotta” alla dimensione scientifica oggettivante, anche in polemica con Karl Jaspers, ma deve essere indagata all’interno dell’attivo/ passivo ordine “pato-logico”. La relazione medico-paziente, attraverso reciprocità, relazione e solidarietà, costituisce il riferimento per un’etica che fa del “modello biografico” uno dei cardini attraverso cui i concetti di malattia e di salute, assumono un significato personale e mai del tutto oggettivabile.
Karl Jaspers – Viktor E. Frankl (1953-1961):
Alessandra Zito, Presentazione
Viktor Frankl a Karl Jaspers (5 Febbraio 1953)
Karl Jaspers a Viktor Frankl (13 Febbraio 1953)
Viktor Frankl a Karl Jaspers (4 Marzo 1961)
Stefano Crabu, Dalla molecola al paziente. La biomedicina nella società contemporanea
(Carmen Caramuta)
Karl Jaspers, Delirio di gelosia (Alessia Araneo)
Viktor von Weizsäcker, Questioni fondamentali di antropologia medica (Concetta Araneo)
Nota di Anton Hügli, Edizione commentata dell’opera completa di Karl Jaspers (estate 2017)