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Mentre una intera generazione di pensatori, gli “intellettuali della crisi”, e convinta di vivere in una civilta oramai spenta e incapace di poter produrre nuove idealita e rinascite, Edmund Husserl e Karl Jaspers, a dispetto di quel tempo «sedotto dagli ideali dell’agire e della tecnica», ritengono che l’Europa non sia la terra di una civilta “al tramonto”. Se l’abuso della facolta razionale aveva portato al tramonto dell’Occidente e ad uno scetticismo incapace di tensione alla trascendenza e ad una cieca fede nella scienza e nella tecnica, il ritorno all’ideale greco di Humanitas e a un logos, inteso come principio unificante e non mortificante della stessa esistenza, come una attitudine critica capace di gettare lo sguardo oltre la crisi, consente di trovare le motivazioni con cui l’Europa si sarebbe potuta salvare dalla sua stessa fine. Tuttavia mentre la Krisis si sofferma sul ruolo di guida dell’Europa, Jaspers rilancia l’idea di una sua rinascita in una prospettiva mondiale. Se l’ideale di Bildung, intesa come una formazione permanente al rispetto della propria e altrui liberta, e cio verso cui tendere, acquisire un respiro mondiale significa auspicare una forma di alleanza e solidarieta fra i popoli, sostenendo nuove forme di federalismo, il “nuovo ordine mondiale”, in grado di scongiurare il pericolo di nuove guerre. Dopo la “fine” di una storia mondiale a la Hegel, di ogni possibile storia guidata da un’idea di sviluppo e di continuita proprie di un’eta di positivismo della ragione, Jaspers auspica l’inizio di una nuova storia dell’umanita, in cui la difesa in ogni consesso umano da forme di totalitarismo e fanatismo passa attraverso l’appello alla istanza sovra-politica della ragione, intesa come capacita discorsiva, come libera attitudine critica, volta a superare i limiti dell’intelletto per aprirsi alla trascendenza.
Il contributo presente segue, in Jaspers, lo svolgersi di un motivo che sta a fondamento dell’intero arco della sua riflessione: l’idea secondo cui un pensiero fondamentale deve intrecciare un nesso organico fra comprendere e spiegare, avendo la filosofia il compito non di costituirsi in alternativa alla scienza, ma di avvantaggiarsi sempre dei risultati che provengono da essa. Come declinazione particolare del problema piu generale relativo al rapporto fra scienza e filosofia, comprendere e spiegare, viene tematizzata anche la relazione che si da tra fede filosofica e fede nella rivelazione. Per Jaspers, una considerazione che voglia tenersi pienamente all’altezza dei contenuti della fede biblica deve coglierli si a livello non-oggettivo, ma senza mai abbandonare del tutto il livello oggettivo, per riuscire, solo in tal modo, a scorgere in essi la dimensione della cifra: dimensione di cui si puo dare solo lettura, interpretazione, approfondimento incessante.
Il presente contributo intende avanzare una proposta di lettura riguardante il concetto di “male” nell’opera di Jaspers Della verita, pubblicata nel 1947, ma concepita a partire dagli anni ’30: la filosofia della verita si configura come una risposta radicale al male presente nella vita dell’autore negli anni del regime nazista. Dunque, dopo una breve introduzione (I.), forniro una descrizione generale della situazione della vita di Jaspers in quegli anni, dato che, per Jaspers, la biografia personale e la filosofia devono andare di pari passo (II.). Successivamente dedichero alcune considerazioni piu estese al concetto di male, mostrando che questo risulta profondamento connesso agli eventi storici del XX secolo (III.). Per far cio mi concentrero particolarmente sui concetti di “male radicale” e di “male infernale” in quanto manifestazioni di un male “incomprensibile” che si trova al cuore delle cose stesse. La tesi principale e che, per poter comprendere il male nel XX secolo, c’e bisogno di un approccio epistemologico (e non, o non solo, morale o etico) alla questione di cosa il male sia. Nell’ultima parte (IV.), tentero di dimostrare questa interpretazione attraverso una lettura ravvicinata di alcuni passaggi tratti da I fratelli Karamazov di Dostoevskij, un libro che rappresenta – sebbene scritto nel 1880 – un importante riferimento che aiuta Jaspers a pensare filosoficamente il male del suo tempo.
In questo testo si torna sulla tematizzazione jaspersiana del concetto di Weltanschauung, per analizzare alcuni snodi centrali che la connettono criticamente a istanze provenienti dalla fenomenologia e dalla cosiddetta filosofia della vita. Fin dalle sue prime opere, Jaspers subisce gli influssi di queste due correnti di pensiero, rielaborandoli in una prospettiva personale. In particolare, gli ambiti teorici messi a fuoco secondo questa linea interpretativa sono i seguenti: la questione della struttura psichica; il significato dell’oggettivo e dell’oggettivazione; la domanda circa la metafisica che emerge dalla Psychologie der Weltanschauungen; il rapporto tra Weltanschauung e filosofia. Nell’affrontare tali questioni, Jaspers si muove lungo una linea teorica costante, che e quella di una considerazione della vita e dello spirito intesi come dimensione infinita e inoggettivabile.
Il contributo intende ‘far reagire’ la teoria critica di Theodor Adorno e l’ambiguita produttiva della prima filosofia jaspersiana, sedimentata in Psicologia delle visioni del mondo. Sono discusse due tematiche. In primo luogo, entrambe le teorie si occupano del significato che la soggettivita viene assumendo nella sua trascrizione nel campo epistemico psicologico e mettono in evidenza una nozione di «realta psicologica», in cui e implicato il “potere dello psichico” di debordare oltre i propri limiti – cio che e posto da Jaspers a base delle connessioni psicopatologiche, ma dischiude, alla luce delle riflessioni adorniane, alcuni aspetti delle forme di vita della tarda modernita. In secondo luogo, puo rilevarsi una certa prossimita tra il “pensiero della scissione” di Jaspers e la critica adorniana filosofia dell’identita, quale e contenuta gia nelle nozioni di “allegoria” e “pensiero storico-naturale”, elaborate da Walter Benjamin e riprese dallo stesso Adorno. In effetti, nella misura in cui opera il dislocamento della verita e validita dal piano della metafisica a quello della visione del mondo, la «scissione soggetto-oggetto» pare mettere in discussione la sovranita del pensiero in quanto prima philosophia. D’altro canto, dalla prospettiva propria della teoria critica si puo discutere in che misura l’antinomia della vita concepita da Jaspers non tenda nuovamente a ipostatizzare l’anima di fronte all’ente spazio-temporale.
Die Schuldfrage e uno degli scritti piu famosi di Karl Jaspers. Con esso il filosofo si ripresenta sulla scena pubblica dopo gli anni del forzato silenzio impostogli dal regime nazionalsocialista, e lo fa affrontando uno dei temi piu spinosi della discussione politico-culturale del tempo. Con le sue accurate riflessioni sulla ‘situazione spirituale della Germania’ e sui quattro tipi di colpa egli agisce 1) da cittadino tedesco; 2) da filosofo etico-pratico; 3) da intellettuale politico. Per il valore intrinseco dello scritto e per il significato che esso ha assunto nel percorso filosofico-politico di Jaspers, si e soliti considerare la Schuldfrage come l’opera che inaugura la fase matura del suo pensiero politico, il quale ha fatto dell’esperienza della dittatura e del totalitarismo l’imprescindibile premessa ex negativo di ogni riflessione costruttiva sulla politica. Proprio l’esperienza totalitaria, infatti, ha insegnato al filosofo a valutare tanto l’irrinunciabilita della politica quanto l’irrinunciabilita che la politica sia l’oggetto di una cura individuale di connotazione etica rispetto alla quale ogni cittadino sia non solo parte e fruitore, ma anche artefice consapevole e responsabile. Partendo dallo scritto sulla colpa, il contributo si propone di tratteggiare i contenuti della maturata consapevolezza politica di Karl Jaspers, la quale, muovendo da evidenti premesse filosofiche, mostra una forte aspirazione antropocentrica nella misura in cui fa dell’uomo e della realizzazione del suo valore costitutivo, la liberta, la misura e il fine di ogni politica. L’ambizioso e severo “sguardo del filosofo sul Novecento” diventa cosi il punto di partenza per un nuovo sguardo sul futuro.
Giovane psichiatra, Karl Jaspers scrisse nel 1913 la Psicopatologia generale: le particolari condizioni di lavoro nella clinica universitaria e l’influenza scientifica di Max Weber e del movimento neokantiano ad Heidelberg lo aiutarono ampiamente a dar forma ad un classico di metodologia della psichiatria moderna. L’articolo delinea tali circostanze storiche, prima di concentrarsi sull’impatto decisivo che il successivo pensiero filosofico ebbe sull’elaborazione dell’edizione ampliata della Psicopatologia generale. Quest’ultima edizione fu redatta durante la seconda guerra mondiale, negli anni dell’emigrazione interna, quando a Jaspers non fu consentito di pubblicare opere filosofiche. Cosi egli colse l’opportunita di integrare idee centrali della sua filosofia dell’esistenza all’interno di un libro di psichiatria. Quanto ne e risultato, una sezione totalmente nuova su “L’essere umano come un tutto”, puo essere considerato una antropologia psichiatrica con profonde premesse filosofiche. L’idea guida di liberta e rintracciata nei piu rilevanti pensatori che Jaspers menzionava nella Psicopatologia generale quali fondatori dell’antropologia: Socrate, Agostino, Pascal, Kant e Nietzsche. Questi contribuiscono tutti, in modi differenti, al configurarsi di aspetti critici ed entusiastici dell’antropologia psichiatrica jaspersiana, malgrado le loro tendenze metafisiche divergano significativamente. D’altro canto, essi trovano le loro radici nella tradizione antica e ebraico-cristiana.
Il concetto di Achsenzeit assume, nella trattazione filosofica di Karl Jaspers, prospettive diverse che s’accentrano, spesso, su un’indagine esistenziale che va oltre il resoconto della storia della filosofia per mostrare le specificita di ogni autore di fronte alle piu grandi sfide del suo pensiero-esistenza. Tale orientamento esistenziale traccia, quindi, dei percorsi all’interno della storia di ogni pensatore, al fine di restituire la portata sovrastorica e sovratemporala del suo operato. La trattazione del pensiero confuciano, in particolare, mette in evidenza tutta l’incertezza relativa alla reale esistenza di Confucio ma, al tempo stesso, ne delinea quei tratti peculiari che si rivelano tali da modificare profondamente le esistenze dei suoi allievi che scriveranno i Dialoghi ispirandosi ai suoi detti e alle sue azioni.
Il contributo proposto intende mettere a fuoco i capisaldi metodologici della storiografia filosofica jaspersiana, quale viene sviluppata nell’opera I grandi filosofi, nella convinzione che rappresenti uno dei modelli teorici piu interessanti della storiografia filosofica novecentesca. Gli elementi qualificanti il quadro delineato da Jaspers discendono dalla definizione dei concetti cardine della sua filosofia, quali la polarita tra esistenza e ragione, il superamento dell’alternativa tra dogmatismo e scetticismo nella definizione della verita, il radicamento esistenziale di ogni sintesi filosofica. Il mio lavoro intende discutere i connotati piu schiettamente storiografici che derivano da queste premesse, e in primo luogo l’atteggiamento del filosofo nei confronti della storia della filosofia tradizionalmente intesa, in entrambe le sue versioni, filologica e speculativa. Jaspers rifiuta nettamente una visione della storia della filosofia quale sapere realistico basato sulla ricostruzione di nessi e connessioni oggettive. Né il filosofo accetta una visione speculativa della storia della filosofia di stampo hegeliano, perché convinto che nessuno possa dominare la storia “dall’alto”, delineandone il processo. La chiave metodologica dell’approccio jaspersiano alla storia della filosofia risulta dunque centrato su una “soggettivita” che non deve intendersi quale mera relativita, ma piuttosto come l’unica possibilita di comprensione autentica dei filosofi del passato alla luce dell’interesse teorico dell’interprete, necessariamente coinvolto a livello esistenziale nella ricerca. In questo quadro verra analizzato in particolare il nesso che si viene a costituire tra la personalita e la storia, secondo una duplice declinazione: oggettiva, vale a dire riguardante il rapporto tra le personalita dei “grandi” filosofi e il loro tempo, nel quale si collocano e oltre il quale si proiettano; soggettiva, legata alla relazione che la soggettivita dell’interprete instaura con i filosofi del passato, attraendoli nel proprio contesto esistenziale e problematico.
Insieme con Platone, Jaspers e persuaso del fatto che la filosofia e la politica non siano da separare, e che la salvezza degli Stati e degli uomini nello Stato possa darsi solo a patto che la politica divenga essa stessa filosofica, non pero, come in Platone, attraverso una educazione filosofica dei governanti in uno Stato totalitario, ma grazie alla reciproca autoeducazione di tutti i cittadini all’interno di una democrazia. L’articolo delinea le ragioni che hanno condotto Jaspers ad una simile convinzione e mostra le conseguenze che ne risultano per la comprensione della filosofia, della conduzione dello Stato, e in particolare della politica e dell’educazione. Al centro dell’indagine sono i concetti di conversione, del sovra-politico e della ragione; ne risulta rischiarato il ruolo degli uomini di Stato e dei professori di filosofia all’interno del discorso pubblico e della pedagogia nelle scuole pubbliche. Alla base dell’articolo e la speranza di rendere chiara, in un dialogo critico con l’autore, l’attualita, anche per l’oggi, della concezione jaspersiana dello Stato e dell’educazione.
Attraverso gli scritti e i discorsi che Jaspers elabora negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, questo contributo intende presentare le linee di un suo articolato ed originale progetto di Bildung. E la figura eccezionale di Goethe a costituire un punto di riferimento ineludibile, come in quegli anni altri filosofi – da Benjamin a Scheler, da Stein a Cassirer – avevano provato a reinterpretare, alla luce dei nuovi eventi storici. Lungi dal rappresentare solo un generico tentativo di riscossa morale dopo la catastrofe tedesca, la Bildung jaspersiana sara anche in seguito sviluppata e approfondita, segno che le intenzioni del filosofo punteranno costantemente alla costruzione di un nuovo umanesimo occidentale, capace di neutralizzare le spinte distruttive del nascente nichilismo europeo.
Il saggio esamina la discussione avvenuta agli inizi degli anni Venti del secolo scorso tra Jaspers e il giovane Heidegger a proposito della Psychologie der Weltanschauungen (1919). Viene ricostruito il contesto storico in cui si inseriscono le critiche di Heidegger e viene mostrato in che misura il libro di Jaspers abbia influito positivamente sull’evoluzione in senso ontologico della sua filosofia.
Il presente saggio trae spunto da una serie di riflessioni di Karl Jaspers sull’opera di William James, relative alla descrizione e all’analisi di alcune esperienze psicopatologiche, come le alterazioni della percezione e gli stati di allucinazione presenti sia nelle comuni patologie psichiche, sia in molte esperienze di tipo mistico. L’ipotesi ermeneutica del presente saggio riguarda il confronto tra il periodo del pensiero jaspersiano, che si puo definire “fenomenologico” (gli anni dieci del secolo scorso) e lo James di The Varieties of Religious Experience, di cui e considerata una peculiare tonalita, la sua caratterizzazione per cosi dire “fenomenologica”.
Cosa possono condividere due filosofi del Novecento cosi diversi per biografia, formazione, pensiero e prospettive come Karl Jaspers ed Étienne Gilson? Il primo di formazione scientifica e psichiatrica approda alla filosofia insoddisfatto dell’“oggettivismo” delle scienze, in quanto oblia l’esistenza; il secondo sceglie la filosofia quale suo campo di ricerca ed in particolare compie un lavoro di “riabilitazione” della filosofia medievale, in cui scopre l’originalita della metafisica “esistenziale” di Tommaso d’Aquino. Appartenendo allo stesso turbolento periodo storico, hanno assistito alla caduta del paradigma moderno nella follia delle ideologie e nella catastrofe delle Guerre mondiali. In questo panorama, per vie diverse hanno ripensato i binari di un pensiero, animato fino ad allora da una ragione totalizzante e hanno indicato alternative che potessero evitare la facile fuga nel nichilismo. Non e un caso che entrambi siano stati refrattari a quella filosofia accademica insegnata nelle Universita e non e altresi un caso che entrambi si sono sforzati di riabilitare, proprio all’interno del dibattito filosofico, termini come esistenza e trascendenza. Ancora li avvicina l’attenzione alla storia della filosofia e l’attitudine metafisica con cui guardano all’esercizio filosofico. Ed e proprio in ambito metafisico che si possono scoprire interessanti assonanze. C’e tanta distanza tra la filosofia dell’Umgreifende e quella dell’actus essendi, ma c’e anche tanta affinita proprio nella considerazione dell’essere che non puo essere raggiunto e stritolato da una ragione calcolante, ma solo indirettamente attraverso un pensiero che rinunci alla concettualizzazione dell’esistenza, lasciandola quale via per poter “toccare” quel fondo originario da cui tutto scaturisce. Se Jaspers distinguera tra spiegare e comprendere, Gilson prendera la distanza dal pensiero logicizzante attraverso l’emersione del giudizio d’esistenza e l’attenzione all’esperienza sensibile, alla realta. Scaturisce un richiamo “etico” implicito, da parte di entrambi, al rispetto della trascendenza della realta, mettendo in atto un pensiero altro rispetto a quello logico, che sia capace di cogliere l’essere senza ridurlo ad essenza, a concetto. Siamo consci a questo punto che gli epiloghi non possono che essere necessariamente diversi, ma ci interessa mostrare le assonanze quali testimonianze di una “vocazione comune” di due filosofi cosi diversi, ma allo stesso tempo, cosi impegnati nel mostrare una metafisica volta al concreto, capace di comprendere e bilanciare ragione ed esistenza.
Lo scopo del saggio e d’istituire un confronto tra il pensiero di Karl Jaspers e quello di Emanuele Severino circa il tema della “trascendenza”, nell’intento di chiarire i caratteri della lettura severiniana di uno dei concetti chiave del pensiero jaspersiano. Tale lettura presenta due momenti distinti, in connessione alle due fasi principali del pensiero di Severino. Com’e noto, nella prospettiva che e tipica di Jaspers, della Trascendenza si puo parlare in modo filosoficamente appropriato soltanto in relazione al correlativo concetto di Esistenza. In un primo momento, l’interpretazione severiniana mette in luce che – analogamente a quanto si deve dire per Heidegger – l’esistenzialismo in Jaspers si definisce non per il restringersi del filosofare alla sfera dell’Esistenza, ma per la sua modalita specifica di parlare dell’Intero dell’essere secondo la prospettiva che e costituita dall’Esistenza. Nella fase successiva, invece, Severino si propone di mostrare il nesso che lega i concetti di Trascendenza ed Esistenza con il tema per lui oramai decisivo del “divenire” degli enti e della concezione nichilistica dell’essere che vi e implicata. Nelle conclusioni del saggio l’autore allarga ulteriormente l’orizzonte del confronto tra i due pensatori e pone la questione se la verita originaria in sede filosofica sia quella dell’Esistenza, oppure se la “verita esistenziale” debba fare riferimento alla verita originaria dell’Essere metafisico.
Questo testo si concentra sulle idee e gli argomenti che Karl Jaspers e Hannah Arendt si sono scambianti nella loro corrispondenza epistolare sul processo Eichmann e sulla posizione di Jaspers relativa alla pubblicazione arendtiana Eichmann in Jerusalem, la quale scateno una vera e propria tempesta di critiche. Soffermandomi, in un primo momento, sulle lettere anteriori al processo del 1961 e su quelle scritte “in diretta”, cerco di mostrare non solo i sentimenti dei due amici circa l’importante evento storico e cio che a livello personale li tocca piu da vicino, ma anche di presentare le tesi storiche e politiche, ovvero filosofiche, dell’uno e dell’altra quanto, ad esempio, all’opportunita che il processo abbia luogo in Israele o al rapporto tra Israele e l’ebraismo o, ancora, all’interpretazione universalista e singolarista di questo caso giuridico. In un secondo momento, mi soffermo invece su quelle lettere che testimoniano il crescendo della critica al libro della Arendt per mostrare la posizione ancora incerta, esitante di Jaspers nei confronti di quelle pagine, per poi arrivare ad analizzare la sua determinazione nella difesa dell’amica in un’intervista del 1965. Ma questo percorso si giustifica non tanto al fine di sondare fino a che punto l’amicizia dell’uno resta fedele e salda nel momento di estrema fragilita dell’altra, quanto, per mostrare come Karl Jaspers abbia forse condiviso il pensiero della scrittrice Mary McCarthy secondo la quale Eichmann in Jerusalem non e altro che un «documento di responsabilita etica».
Nonostante le differenze esistenti tra le prospettive filosofiche di Jaspers e Heidegger, e possibile riscontrare alcuni motivi di fondo comuni alle loro riflessioni sulla trascendenza. In primo luogo, il trascendere dell’esistenza identifica un modo di comprendere e fare esperienza che e tendenzialmente un movimento non oggettivante. In secondo luogo, nelle prospettive di entrambi gli autori viene in luce la centralita della dimensione “patica”: l’apertura della “situazione emotiva” e la forza propulsiva dell’amore originano e alimentano il trascendere. Inoltre, i due filosofi sono concordi nell’individuare la direzione del movimento trascendente nella sfera multidimensionale dell’essere. Se e vero che Heidegger, a differenza di Jaspers, non include in modo esplicito la realta divina nell’ambito cui si rivolge il trascendere, nondimeno considera la fede una possibilita esistenziale fondata nella trascendenza dell’esserci ed anzi resa possibile da quest’ultima. Infine, l’analisi di entrambi gli approcci filosofici permette di concludere che il trascendere non e mai attuato dal singolo isolatamente, ma puo essere realizzato solo in comune. L’uomo, pertanto, non puo divenire consapevole dell’essere e di Dio al di fuori del rapporto con l’altra esistenza.
Karl Jaspers, Della verità. Logica filosofica (Claudio Fiorillo)
Oreste Tolone, Alle origini dell’antropologia medica. Il pensiero di Viktor von Weizsäcker (Mariafilomena Anzalone)
Louiss A. Sass, Follia e modernità. La pazzia alla luce dell’arte, della letteratura e del pensiero moderni (Giuseppe Maccauro)
Paul Ricoeur e “les proches”. Vivere e raccontare il Novecento, a cura di Vinicio Busacchi e Giovanna Costanzo (Emma Ghersi)
Nota di Anton Hügli, Edizione commentata dell’opera completa di Karl Jaspers (estate 2016)