[a cura di Valentina Galeotti]

C’è un prima iniziale e poi c’è un prima in tutte le cose così come, tra il prima e il dopo, c’è il presente, il presente che non è mai lo stesso. Ogni dopo è un prima.

Può dirmi di più?

L’immagine che vedi nello specchio nel momento in cui la vedi è il momento preciso che non c’era prima e non c’è dopo. Non c’era prima, ma prima cosa c’è?

Si, prima cosa c’è?

Ci sono tanti modi di intendere il prima. A me sembra per esempio che il prima sia nella possibilità.

Dica di più..

Prima che la cosa esista c’è la possibilità che esista. L’universo è fatto di possibilità che nel momento in cui la cosa viene ad esistere diventa una possibilità in più. Lo specchio è questa cosa, questo disegno, ciò che esiste era possibile nello specchio. Viene ad esistere. Tutto ciò che sarà è già possibile.

Lo specchio è l’attimo del possibile.

Lo specchio ad esempio perché riporta l’esistente? Riporta l’immagine nel suo farsi, non quella che esiste. Perché? Perché non ha immagine propria. Lo specchio non ha immagine propria. Non ha immagine e non avendo l’immagine, può permettersi di avere tutte le immagini. Se avesse un’immagine non ci sarebbe l’universo. L’immagine che io fisso sullo specchio impedisce allo specchio di riflettere. Lo specchio non riflette più perché io fisso l’immagine e questa immagine è la memoria che stava passando: non c’era prima ma ci sarà ancora dopo perché io l’ho fissata con una macchina fotografica. La macchina fotografica ha la possibilità di cogliere e fissare l’immagine; quindi, lo specchio prima era totale ma io non avevo l’idea che si spostasse dall’immagine. Per me lo specchio era un oggetto comune, mi guardavo, facevo la barba, ecc.

Senza memoria è una memoria che rimane autonoma e lei la può riportare a come è. Nel quadro specchiante questa memoria rimane sempre, ed è sempre collegata al momento fotografico. Segue ogni istante del suo divenire e per questo è memoria.

La fotografia è una memoria in cui noi vediamo qualcosa che c’è stato ma non vediamo noi stessi in relazione a quella memoria. È la memoria dell’opera. Lo spettatore è parte dell’opera e quindi parte di tutte le possibilità che c’erano e che ci saranno. In altre parole, il quadro specchiante è come una possibilità del passato.

Cosa c’è prima? Cosa c’è dopo?

Il quadro specchiante è durante. Dura. Vive nell’atto di essersi. Il passato, presente e futuro sono convenzioni perché noi ci basiamo sul giorno, la notte, l’inverno e l’estate, la nascita e la morte, le stagioni, abbiamo idea che ieri, oggi.

Se pensa alla formula della creazione, il presente lo si trova nel simbolo dell’infinito con la linea che incrocia sé stessa. È perfetta perché la linea arriva e incrocia sé stessa ma per incrociare sé stessa occorre che sia già passata. Incrocerà il futuro perché è già passata.[1] L’infinito sta nel punto in cui incrocia sé stessa, ma per incrociare sé stessa occorre che sia già passata … incrocia il futuro ma è lì. Non c’è una linearità che inizia dall’inizio alla fine, non ci sono stadi, ma è il punto centrale, il presente che conta, quindi la linea che attraversa presente passato futuro da una parte e passato presente futuro dall’altro. Abbiamo un presente che non è mai lo stesso, abbiamo un presente che può soltanto essere. È talmente piccolo che è un milionesimo di un miliardesimo di secondo. Un’immagine dalla macchina fotografica è 1/24 di secondo. La durata di un istante che è lunghissimo, dunque [la durata] della foto. Pensiamo alla durata del metallo come l’oro: molto lunga ma in sé tutte queste durate sono riconducibili a questa durata minima che esiste. Gli ho dato valore zero.

Due elementi finiscono per creare un terzo elemento. Un elemento finisce per creare un terzo elemento. Come ottengo il funzionamento dell’universo? Incrociando due volte la linea. È come il big bang. Gli elementi sono contenuti in questo cerchio che si allarga, si allarga, tutti i numeri sono all’interno.

Prima di tutto questo cosa c’è? Cosa è il prima? Il prima di questa divisione è il vuoto. E il vuoto è questo vuoto che si riconduce al centro di questi due elementi. Grazie al vuoto i due elementi si possono incontrare. Grazie al nulla, esattamente come nello specchio grazie al nulla. Al nulla di immagini, tutte le immagini esistono. Questo vuoto è lo stesso vuoto dell’universo, è un vuoto ossia che preesiste l’universo perché consiste in esso.

Quel vuoto lì che è il cerchio centrale – e che continua ad estendersi e sta diventando sempre più esteso – si allarga, si distanzia; questo cerchio qua si sta allargando e non noi non sappiamo fino a quale punto di distanziamento è oggi. Si arriva ad un processo di totale allargamento.

Ad esempio, io ho imparato l’arte nello studio di mio padre che era pittore, lui dipingeva. Ma io ho scoperto l’arte moderna perché mia madre mi ha iscritto alla scuola di pubblicità di Armando Testa. Nel mondo della pubblicità ho dovuto scoprire l’arte moderna perché la pubblicità è costituita da tutte le tecniche, dalla fotografia all’architettura fino alla velocità.

Lì il risultato doveva essere dinamico e veloce. Ho scoperto l’arte moderna in cui l’artista era completamente libero di fare quello che voleva, non aveva dettami – invece prima di allora doveva sempre sottostare a dei dettami di prospettiva, di dimensioni, di imitazione più o meno fedele della realtà.

Mi proposero di vendere. Io impongo la mia individualità, non è la identificazione, io mi identifico con qualcosa che decido io di essere, quindi posso anche decidere di fare l’imperatore, aggiusto la strada, sono il più potente politico del mondo … Io so che esiste la possibilità dell’Io-crazia. Io so che esisto perché mi vedo, e dove mi vedo? Nello specchio. E come artista come agisco di conseguenza? Nell’autoritratto. Nella storia c’è l’autoritratto, non l’ho inventato io. Io non ho inventato niente. Nell’autoritratto ho lavorato sul fondo. Il fondo oro è stato il precursore, ma ancora prima al tempo degli antichi egizi come Tutankhamon c’è l’oro che non rappresenta ma estende la possibilità del pensiero oltre i limiti. Quella è l’idea dell’immortalità. Infatti, in questo modo facevo sopravvivere l’immagine. L’oro pian piano attraversa i fondi del mio ritratto: oro, argento e nero lucidissimo, sono arrivato all’acciaio inossidabile perché è l’elemento che porta con sé fisicamente un concetto di immortalità e io uso l’acciaio inossidabile che però non è come l’oro già coperto di un’immagine costituita dalla materia del giallo, l’acciaio è l’elemento che viene dalla storia, che diventa chiaro, evidente, diretto.

Poi ho fatto tanti lavori, tante azioni, tante cose. Questo lavoro deve avere un risvolto sociale politico e, diciamo, anche spirituale. Ho dovuto trovare un simbolo che corrispondesse al quadro specchiante dove il concetto di infinito legato al finito fossero presenti.

Il simbolo di infinito?

È una rappresentazione simbolica del tempo dell’opera. L’ho trovato nella matematica. Già esiste, solo che ho allargato il punto centrale nell’infinito. Ho creato la fenomenologia del finito nel simbolo dell’infinito. Il terzo paradiso nasce dalla natura. Da una parte la natura, dall’altra l’artificio, entrambi tesi al creare equilibrio e armonia.

L’infinito è l’universo. Quando siete arrivati stavo parlando del quadro specchiante tecnologico costituito dal byte. Il vuoto all’interno si dilaterà al punto tale che tutto l’universo finisce.

Dunque, cosa è il “prima” se non quella possibilità che l’oggetto avvenga? Nel momento in cui avviene l’oggetto c’è una possibilità in meno. Questo io l’ho fatto nel ‘65 con gli oggetti in meno: con gli oggetti in meno non ho seguito il concetto di mono identità, anche se la mia identità era già in qualche modo definita poiché ero stato considerato fra gli artisti della pop art newyorkese tramite Leo Castelli.

Io avrei dovuto abiurare la mia origine. Solo che la mia origine non è basata sul sistema consumistico come la maggior parte degli artisti pop ma sul fondo oro. Non in linea con l’impero statunitense, in quel periodo ero stato codificato come un artista che ha un marchio. Ero marchiato. Gli artisti pop sono marchiati, hanno un sistema consumistico che li marchia. Io mi sono s-marchiato facendo trentadue lavori uno diverso dall’altro, non c’era più il marchio di Pistoletto.

Ogni lavoro poteva essere il marchio di un artista diverso. Io mi sono distrutto per poter mantenere la mia autonomia. Quando hanno visto quello che stavo facendo mi hanno detto: “Te ti sei distrutto”. Ed è così: mi sono distrutto. Avete compreso perfettamente!  È nata l’arte povera. Era essenziale fare qualcosa di fenomenologico. Al Museo National Gallery mi è stato chiesto di fare una conferenza.

Mi hanno chiesto “Cosa è l’arte povera?”.

L’arte povera non è minimale, è radicale. Perché radicale vuole dire radici, vuol dir il seme che si mette nella terra.

Questa è l’arte povera. Il quadro secchiante è arte povera perché è fenomenologico. È radicale come l’arte povera. Io faccio un’azione che è proprio quella di radicalizzare, ossia escludere che la mia identità venga inglobata. Ecco che l’arte diventa autonoma.

Con altri artisti, creando lo zoo, abbiamo creato un luogo tradizionale che è lo studio: chi voleva partecipare poteva entrare, sono venuti artisti che hanno lasciato lavori, siamo usciti dal luogo istituzionale che è lo studio e siamo andati fuori, ragionato insieme, sperimentato un’idea stessa di comunità, io sono “diventato” molti artisti con cui mi sono interfacciato.

Dunque, tornando alla questione, cosa c’è prima? La stessa cosa che c’è dopo.

Poniamo che io fossi lo specchio, come farei a farmi l’autoritratto? L’ho usato e mi sono detto “tu chi sei?”. Devo dare allo specchio il suo contrario, quindi l’ho diviso in due. La complessità è riducibile alla massima semplicità. Ho diviso le specchio, l’angolo è arrivato qui poi si chiude.[2] In quel trattino ho infiniti trattini.

Essendo artista ho in più la capacità di immaginare, di passare, di fare l’atto preventivo.

L’atto preventivo?

Si, l’atto preventivo. Cioè come mai io sono questo che può avvenire? Io so che può avvenire, so che dentro quel buco lì non c’è niente, nemmeno lo specchio che si è fatto l’autoritratto. La memoria dunque – anche quando non c’è nulla – c’è, la memoria c’è!

note

[1] Pistoletto disegna il simbolo del terzo paradiso sulla tovaglietta del ristorante.
[2] Disegna l’infinito e pone una linea al centro.